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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 3.5/5
  • valutazione
  • Perché questo è un film non solo su padre e figlio, ma un film sulla ricerca di se stessi, un viaggio che passa tra goffe manicure e scintillanti casinò. Chi siamo, dove andiamo, quelle robe lì. Stupidate, ma che fanno fremere il cuore però
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 3.5/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 11 lettori
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Info

Non bussare alla mia porta

di Wim Wenders

 
    Dati
  • Titolo originale: Don't come knocking
  • Soggetto: Sam Shepard, Wim Wenders
  • Sceneggiatura: Sam Shepard
  • Genere: Drammatico - Western
  • Durata: 122 min.
     
  • Nazionalità: Germania/USA/Francia
  • Anno: 2005
  • Produzione: Reverse Angle, Arte France, Peter Schwartzkopff
  • Distribuzione: Mikado
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Cowboy in fuga da se stesso torna dalla mamma e si ritrova papà

di Lucio Carbonelli

Il modo migliore per scoprire di avere un padre di cui hai ignorato l'esistenza per grossomodo vent'anni non e' nel buio di un parcheggio, mentre sei intento a baciare la tua ragazza e sei anche un po' alticcio. Il minimo che puoi fare è sospettare di lui, chiedergli cos'hai da guardare, perché mi stai seguendo, quasi tirargli un pugno secco. E il minimo che può fare questo scomparso padre è mettere in moto e andarsene, ecco.

Che poi va a finire che non ci capisci più niente della tua vita e hai paura (ma anche voglia) che lui entri dentro di te, e inizi a tirare giù dalla finestra tutto, la vita presente e quella passata, perché davvero non ci capisci più niente, di questa vita, e mandi via tutti e non vuoi vedere più nessuno, men che meno questo presunto padre.

Ché lui ha anche la faccia tosta di ripresentarsi sotto la tua finestra andata in frantumi, e allora tu scendi e quasi lo sfidi a duello, come in un western sì (la vita vera si mescola al film e noi preferiamo l'epopea filmica da sempre, questo si sa) e gli urli in faccia tu chi sei, io non ti conosco, proprio lì in mezzo alla strada, tra tutti i resti della tua vita, che a un certo punto niente ti sembra avere più significato.

E allora te ne vai, lasciando lì quel vecchio patetico cowboy a dormire tutta la notte su quel divano così kitsch e così sfondato, ché la luce è calata su di lui.

Ma poi ci ritorni, tra i numerosi detriti e i vecchi dischi in vinile, perché come fai a esorcizzare il blues che hai dentro se non suonando, come fai, come fai? Perciò prendi una chitarra da due soldi e l'attacchi a un piccolo amplificatore semi-sfondato e ti metti a suonare e a cantare fuori l'anima, ecco come fai. E ti chiedi, ancora una volta, dov'è finito tuo padre, dov'è andato a finire ancora una volta quel padre che non hai mai visto, tanto che quando ti si è parato davanti quasi non potevi crederci di avercelo davvero, questo padre.

Perché questo è un film non solo su un padre e un figlio, ma un film sulla ricerca di se stessi, un viaggio che passa tra goffe manicure e scintillanti casinò. Chi siamo, dove andiamo, quelle robe lì. Stupidate, ma che fanno fremere il cuore però.

Cowboy in fuga da se stesso torna dalla mamma e si ritrova papà, ecco un buon titolo a effetto se qui si trattasse di scrivere un pezzo senza pretese, di ordinaria amministrazione, ma così non è, ché qui si cerca di fare cinema.

E questo è un film semplice, un po' inquieto ma in definitiva tranquillo, tutto virato in blu, fateci caso; un film che si nutre di grandi spazi e grandi vuoti, e non solo dell'anima. Quei grandi spazi che spaventano (per non far entrare il mondo esterno all'interno, perché nulla è cambiato dagli antichi orrori, consiglia sulla via del ritorno il saggio avvocato al cowboy sperduto) ma che, se presi per il verso giusto, sono grande fonte di libertà.

E allora guardarsi indietro, quando le rughe iniziano a scavarti il viso e ti senti così perso, può essere un azzardo e anche un modo un po' egoista per dire aiutami, dammi un riparo dalla mia vita, ma non solo questo però; guardarsi indietro significa anche tornare e rimediare ai propri errori, tornare da un figlio di cui non si era mai venuti a conoscenza, tornare da una figlia i cui genitori (preziose reliquie) sono conservati in una chiavetta usb e in un'urna (blu), tornare da una cameriera che ti piange disperata in faccia tutti i tuoi sbagli, eh sì.

Perché in questo film i maschi non parlano, troppo infantili, più che orgogliosi, non sanno proprio cosa e come dire, al massimo ti buttano un divano sulla testa o ti regalano una macchina anni '50 e credono di aver risolto tutto così, e perciò sono le femmine (una ragazza, una donna) a dover parlare e a darti i brividi giù lungo la schiena, e a niente può servire chieder loro vuoi star zitta per favore? Non serve nemmeno chiedere di non bussare alla mia porta (e poi perché farlo?) ché il passato ritorna sempre, in forma di piccola cittadina (dimenticata ma presente) con tutte le sue discese e le sue salite, sta a ognuno trarne guadagno poi, e questo è.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 3 commenti

 
 
utente
alfonso
  • indirizzo IP 80.204.252.115
  • data e ora Mercoledì 30 Novembre 2005 [8:25]
  • commento bella recensione evidenzia il tema della paternità
 
 
 
 
 
utente
lucio
  • indirizzo IP 87.6.155.66
  • data e ora Mercoledì 30 Novembre 2005 [15:20]
  • commento grazie alfonso! =)
 
 
 
 
 
utente
aitan
  • indirizzo IP 82.52.76.233
  • data e ora Martedì 06 Dicembre 2005 [14:43]
  • commento Un Wenders un po' sottotono, avrà girato il film in una settimana. Buona cmq la rece (ma occhio all'impersonale: "chiedergli cos'ha da guardare, perché ti sta seguendo..". Che abbia ispirato Jarmusch?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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