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Intervista

Speciale del 27 09 2005

 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Alina Marazzi

di Roberta Folatti

E' bella e riflessiva Alina Marazzi, e diffonde una sua severa dolcezza.
La nostra conversazione verte principalmente sul suo film Un'ora sola ti vorrei, che affronta una vicenda personale e dolorosa, attraverso il montaggio e la rielaborazione di vecchi materiali di famiglia. Il film ha girato i festival di mezzo mondo, ottenendo diversi riconoscimenti, è stato acquistato da molte televisioni straniere e per una volta ha trovato un suo spazio anche in Italia.
Immagini in bianco e nero, con tutto il fascino di un mondo lontano nel tempo e socialmente ovattato, mostrano una famiglia in apparenza serena. E' quella di Ulrico Hoepli, erede del fondatore della nota casa editrice milanese. In primo piano il volto bellissimo di Liseli, la figlia prediletta di Ulrico, al mare, in viaggio, in occasioni di festa e dopo il matrimonio, coi bambini e il marito. Ma a queste scene liete si sovrappone la lettura dei suoi diari, che svelano un disagio e una sofferenza sempre crescenti, l'angoscia di non trovare la propria collocazione nel mondo unita a quella di non sentirsi compresa.  Liseli verrà ricoverata in clinica e si suiciderà a soli 33 anni, lasciando i suoi figli ancora piccoli. Alina con questo film tenta di riavvicinarsi a sua madre, la cui figura in famiglia era rimasta molto taciuta, avvolta in un velo di pudore e doloroso imbarazzo.
Abbiamo parlato con la regista milanese nella sua casa in zona Navigli.

 

Un'ora sola ti vorrei è un film molto personale, quanto ti è costato realizzarlo o era piuttosto un bisogno che hai scoperto in te, qualcosa di liberatorio?

E' un film che nasce da un'esigenza assolutamente personale. Ha avuto una genesi molto lunga, non era chiaro sin dall'inizo che avrei fatto un film su mia mamma, è qualcosa che è nato a partire dai materiali. A un certo punto ho scoperto questi filmati in un armadio a casa dei miei nonni e per anni li ho guardati e riguardati, li ho trasferiti su video e dopo un po' ho provato a montarli. Ma si trattava di un mio bisogno personale di rimettere insieme i pezzi della memoria. Nel frattempo avevo letto anche i diari lasciati da mia madre, li avevo letti, messi da parte, riletti.
In un secondo tempo ho mostrato i filmati girati da mio nonno ad un'amica montatrice: nel momento in cui il rapporto con queste immagini non è stato più uno-a-uno, in cui venivano guardate anche da un'altra persona, ho cominciato a pensare di fare qualcosa che fosse intellegibile anche agli altri.
E' stato un processo lungo, e per certi versi inconsapevole.
Il film ha preso forma e struttura mentre montavamo, non è stato un cammino lineare, io vedevo le immagini, mi andavo a rileggere nuovi pezzi di diari, li sovrapponevo a quelle immagini.

 

Ma cos'è esattamente che ti ha fatto decidere di fare un film che vedessero anche gli altri?

Ho cominciato a considerare quella vicenda come qualcosa che poteva avere senso anche per  altre persone, non solo per me. Non avrei comunque mai immaginato che sarebbe uscito nelle sale. E' successo che a un certo punto, montandolo come un film, avessimo bisogno di una sala e di mezzi di produzione, così mi sono ritrovata a rivolgermi ad alcuni produttori e di fatto a proporre il progetto. A quel punto il film esisteva già, era praticamente pronto.

 

E' stata difficile la fase di ricerca del produttore?

Premesso che, come ho raccontato, ho iniziato a fare il film da sola e a montarlo in una piccola sala di amici, in un secondo tempo ho contattato la Sacher di Moretti e Barbagallo, perchè loro avevano prodotto una serie di brevi documentari basati sulle memorie scritte. Mi hanno permesso di lavorare nella loro sala di montaggio, mi hanno incoraggiata ma non erano interessati a produrre il film. Così, insieme al produttore con cui lavoro normalmente, siamo andati da Tele+ a mostrare il premontato di un'ora, e lì ho trovato i soldi per portare a termine il film e pagare chi aveva collaborato con me, in primis la montatrice Ilaria Fraioli.

 

Tutto sommato è stato un percorso abbastanza semplice?

Da un certo punto di vista sì, forse traspariva la mia esigenza di farlo in ogni caso e questo ha dato fiducia a chi doveva produrlo. Il film ha avuto una storia abbastanza incredibile: è passato su Tele+, poi è stato acquistato da Rai3 e da una serie di televisioni straniere, ha girato mezzo mondo, festival, rassegne e infine è approdato nelle sale con Mikado, che a dicembre farà uscire il dvd.

 

E' un caso raro però fa piacere. Magari ci sono film ultrapompati, con grossi budget che in pochi mesi o addirittura settimane si sgonfiano e vengono dimenticati; un piccolo film di qualità come il tuo sta avendo una vita assai longeva, visto che ha cominciato a girare nel 2002 a Locarno...

Sì, da tre anni a questa parte ci sono state tantissime proiezioni, clandestine o semiclandestine, e per ciò che riguarda le sale, a Roma ha resistito in cartellone tre mesi, a Milano di più.
Ha funzionato il passaparola, e poi il film ha un sito molto frequentato http://www.unorasola.it/ attraverso il quale le persone si informano sulle proiezioni, parlano tra loro, mi scrivono. Evidentemente è un film che non ha un tempo, un momento, può essere guardato adesso come tra dieci o trent'anni.

 

Comunque la tua vicenda è un buon segno, indica che anche certi film possono avere un pubblico...

Spero che questo possa dare credito ad altre persone che hanno intenzione di portare avanti progetti personali e di qualità. Progetti che all'inizio magari non sono del tutto definiti.  Il passaparola è un altro tipo di canale promozionale, parallelo, un po' clandestino, ma in certi casi funziona bene.

 

Il cinema può servire per riappropriarsi di qualcosa, per ridare vita e consistenza a una figura rimasta avvolta nella nebbia del dolore e della malattia?

Per me è stato assolutamente così. Ma il consenso ottenuto mi fa pensare che, in modo traslato, il mio film parlava alle persone della propria storia, della relazione coi propri genitori o coi propri figli o con chi non c'è più. E poneva una serie di domande in cui molti si sono rispecchiati.
Inevitabilmente il cinema è il mezzo della memoria ma anche dell'immaginazione. Non solo memoria reale, anche memoria ricostruita, che non corrisponde esattamente a come sono andate le cose, ma piuttosto a un senso di verità per te, che l'hai messo in fila in quel modo lì. Verità per me che l'ho fatto e per chi lo guarda e lo percepisce in un certo modo, a seconda dei suoi vissuti.
Nel caso di Un'ora sola ti vorrei i vecchi filmati erano i materiali più adatti per una ricostruzione della memoria, del passato, però li ho fatti rivivere seguendo una mia personale esigenza di ricordare.

 

Il film parla di una vicenda dolorosa ma lo fa con pudore e forse con spirito "riconciliato": è così?

Il punto di partenza era uno stato d'animo rivendicativo, a cui è seguito un percorso di avvicinamento, di conoscenza e ho sentito che il punto di approdo era una riconciliazione. C'è stato un mutamento di stati d'animo in relazione a quella vicenda.

 

E' stato difficile sovrapporre il tuo sguardo a quello di tuo nonno, che in qualche modo viene "accusato" di non aver compreso tua madre e il suo disagio psicologico?

E' stato difficile perchè in tutte quelle immagini c'era una forte regia, una forte coreografia: non erano affatto spontanee, rubate, ma giocavano molto alla messa in scena. Da un lato questo rendeva il montaggio più piacevole, più divertente, perchè i filmati erano già girati in maniera molto cinematografica, per niente casuale. Dall'altro lato questa sua regia proponeva un'immagine di apparente benessere, di serenità e felicità che nella realtà non tornava.

 

La cifra del film è anche nel contrasto tra le immagini rasserenanti e la drammaticità dei diari scritti da tua madre.

I testi, che sono la voce interiore di mia madre, fanno assolutamente da contrappunto e sono quasi sempre in contraddizione con la solarità, la bellezza di quelle immagini. In effetti la presenza dello sguardo di mio nonno è molto forte, per cui ci sono diversi piani di sguardi che si sovrappongono. C'è sicuramente il mio, ma anche il suo che guarda le sue donne, sua moglie, sua figlia, in maniera quasi ossessiva. Per tutta la vita non ha fatto altro che filmare quasta figlia prediletta, bellissima, però forse senza mai riuscire a guardare oltre, a capirla veramente.

 

Il montaggio è fondamentale in questo film?

Sì, il film è stato costruito in sala di montaggio, col prezioso contributo di Ilaria Fraioli. Anche tutto il lavoro sui testi veniva fatto in sala di montaggio, sceglievamo insieme i testi da leggere su alcune sequenze piuttosto che su altre.  Non esisteva una scaletta predeterminata, mentre lavoravamo ne abbiamo fatte centinaia, continuamente modificate.

 

La voce che legge gli scritti di tua madre durante il film è la tua: è stato difficile?

All'inizio pensavo di farli leggere a un'altra persona, a Sonia l'amica attrice di mia madre, che viene più volte citata nel film. Ma ho cominciato a leggerli per prova durante il montaggio e, a poco a poco, mi sono convinta che dovevo essere io a farlo. Ero stata io ad andare ad aprire quei diari, a profanarli, a renderli pubblici, non potevo che essere io a leggerli.

 

Passando al tuo lavoro in generale, come vedi la situazione dei giovani autori in Italia?

Credo ci siano molti documentari, visti magari solo ai Festival, che sono più interessanti dal punto di vista della riflessione e del linguaggio di tanti film di fiction che escono in sala.
Io vedo amici che stanno anni a scrivere sceneggiature - una vita d'inferno - per poi magari fare un unico film che non va bene, e anche se va bene, non trovano più i soldi per fare il secondo. E' un prezzo molto alto da pagare. Tra l'altro a Milano un sacco di film non arrivano mai, ci sono una serie di opere italiane che vengono distribuite solo a Roma. Per il documentario è ancora più difficile, da quando non esiste più Tele+ non c'è un interlocutore in televisione e diventa molto difficile mettere in piedi una produzione. L'unico spazio è diventato Doc3 su Rai3, ma loro hanno pochissimi soldi.

 

Nonostante tutte queste difficoltà c'è fermento, creatività, o la gente si scoraggia?

Io seguo più la scena del documentario e lì vedo un certo fermento, mi sembra che esista anche un dialogo, non solo riguardo la produzione e le difficoltà legate a questa, ma sulle poetiche.

 

Dopo Un'ora sola ti vorrei cos'hai fatto?

Nell'edizione di Locarno di quest'anno ho presentato Per sempre, un documentario sulle monache di clausura. Ci ho impiegato parecchio tempo a realizzarlo, un po' per l'argomento, un po' perchè ho avuto una bambina, e non è stato semplicissimo tornare a lavorare. E' un documentario coprodotto dalla Televisione svizzera, su cui andrà in onda, che cerca di capire cosa porta al giorno d'oggi una donna a fare una scelta di quel tipo. Mi interessava l'aspetto esistenziale della scelta radicale, per cui non è un documentario storico o religioso. Ho incontrato diverse monache, ma dalla mia prospettiva laica arrivo a comprendere fino a un certo punto.

 

Progetti futuri?

Sempre nel campo del documentario vorrei fare un lavoro basato sui filmati d'archivio, che tracci i cambiamenti, dagli anni 60' ad oggi, della famiglia e del rapporto di coppia in Italia. E' un progetto complesso, dipenderà anche dai filmati d'archivio che avremo a disposizione.

 

Qual è il tuo approccio quando devi incominciare un lavoro?

Per quanto riguarda il film sulle monache sono partita dalla ricerca: sapendo pochissimo di quel mondo ho fatto diversi colloqui, ho incontrato persone. Ora, per il nuovo documentario, la prima cosa che mi viene voglia di fare è guardare i filmati di quegli anni. Succede spesso che io parta da un'idea iniziale che poi si trasforma durante il percorso di lavoro. Comunque mi sento fortunata perchè anche in questo nuovo progetto ho abbastanza libertà, non c'è una scaletta che mi viene proposta da un produttore.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 3 commenti

 
 
utente
Jo
  • indirizzo IP 84.222.50.80
  • data e ora Martedì 27 Settembre 2005 [15:16]
  • commento L'intervista è un dialogo molto bello da donna a donna. In entrambe lo spessore del comunicare sembra avere radici profonde con il loro vissuto.L'intervista ci trascina a sbobinare entro noi stessi.
 
 
 
 
 
utente
Luigi
  • indirizzo IP 151.52.9.181
  • data e ora Martedì 27 Settembre 2005 [15:58]
  • commento E' vero, è un articolo denso di umanità, intimo e profondo, sono assolutamente d'accordo.
 
 
 
 
 
utente
Alma
  • indirizzo IP 84.222.81.90
  • data e ora Martedì 11 Aprile 2006 [16:17]
  • commento bella l'intervista!segnalo il sito www.docvideo.it per chi ama i documentari...ci trovate anche approfondimenti sul film di alina marazzi.ciao!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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