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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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  • 3/5
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  • melodramma marziale in salsa agrodolce
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  • 4.1/5
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  • Questo film è stato votato da 18 lettori
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Info

La foresta dei pugnali volanti

di Zhag Yimou

 
    Dati
  • Titolo originale: Shi Mian Mai Fun
  • Soggetto: Zhang Yimou, Li Feng, Wang Bin
  • Sceneggiatura: Li Feng, Zhang Yimou, Wang Bin
  • Genere: Azione - Sentimentale
  • Durata: 1h:59m
     
  • Nazionalità: Cina
  • Anno: 2005
  • Produzione: Edko Films, Zhang Yimou Studio
  • Distribuzione: BIM
  • Data di uscita: 21 01 2005
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Nuovi sguardi da Oriente

di Eduard Le Fou

Una volta la Cina era un subcontinente chiuso in se stesso, di cui si sapeva poco; oggi è una potenza economica e culturale con cui il resto del mondo dovrà venire a patti per i prossimi decenni. Una volta il wu xa pian era un genere tipico del cinema cinese, molto popolare ma solo in quella terra; oggi è diventato materiale d'esportazione e oggetto di culto per estimatori di ogni angolo della Terra. Cio' e' avvenuto non tanto per merito dei cinesi stessi, ma di alcuni registi cinefili americani (Tarantino) o naturalizzati (Ang Lee), che hanno saputo dare recentemente nuova linfa al genere di "cappa e spada" cinese, grazie all'innesto di mirabolanti tecniche scenografiche e strabilianti effetti speciali.
Le case di produzione cinesi, attualmente capaci di investire capitali fino a qualche tempo fa impensabili, hanno ovviamente fiutato l'affare e stanno puntando molto sull'esportabilità di questo genere di film. Certo il capitale è importante, ma è vero anche che le case di produzione cinesi (ma anche taiwanesi e hongkonghesi) possono contare sull'esperienza e l'abilità di cineasti che per anni hanno dovuto affrontare ogni tipo di difficoltà economica e di censura interna, a lungo acclamati all'estero ma misconosciuti in Patria. E' questo il caso di Zhang Yimou, che torna oggi all'attenzione del pubblico mondiale con un altro film di ambientazione storica, La foresta dei pugnali volanti, dopo il successo ottenuto con Hero durante la passata stagione.
Mentre in quest'ultimo si cantavano le gesta di un eroe e della nascita di una nazione, La foresta dei pugnali volanti vuole essere un poema non soltanto epico, ma anche romantico. L'azione qui si sposta nel 859 d.C., nel periodo di decadenza della gloriosa dinastia Tang. Il malcontento dominava un po' in tutto l'impero e per protesta spuntavano dovunque eserciti di ribelli. Il più grande e più prestigioso era una setta segreta chiamata la Casa dei Pugnali Volanti. Ai due capitani locali della contea di Feng Tian, Leo (Andy Lau Tak Wah) e Jin (Takeshi Kaneshiro) viene ordinato di catturare il nuovo capo della Casa dei Pugnali Volanti in dieci giorni. Il capitano Leo sospetta che Mei (Zhang Ziyi), la bellissima nuova ballerina cieca del locale Peony Pavilion, sia in realtà la figlia del vecchio capo ed escogita un piano per arrestarla e interrogarla. Quando Mei rifiuta di dare informazioni sulla Casa dei Pugnali Volanti, i due capitani organizzano un altro piano. Questa volta, il capitano Jin fingerà di essere un guerriero solitario. Dopo aver liberato Mei dalla prigione, guadagnandosi la sua fiducia, si offre di scortarla fino al covo segreto della setta. Il piano funziona, ma durante il lungo viaggio, Jin e Mei vengono travolti dal desiderio reciproco e si innamorano. Di qui in poi la storia si arricchisce di colpi di scena continui, in alcuni casi piuttosto scontati, ma in linea con i dettami del genere. E la dinamica che Zhang Yimou attiva proprio nei confronti del wu xa pian è uno degli aspetti più interessanti del film. Se da un lato infatti il genere è non solo rispettato ma addirittura esaltato, grazie a coreografie davvero mozzafiato (memorabili le sequenze della danza di Mei tra i tamburi e quella del lungo combattimento nella foresta di bambù), dall'altro il regista cerca di imporre il proprio punto di vista "autoriale", con tutte le contraddizioni che hanno finora caratterizzato la sua filmografia. La prima metà del film, grazie al personaggio della ballerina-guerriera non vedente impersonato dall'affascinante Zhang Ziyi, è un'interessante riflessione sull'atto del vedere e sulle effettive possibilità di conoscere il mondo attraverso la vista. Mentre Mei è in grado di muoversi, ballare e combattere meglio di qualsiasi vedente, facendo di una mancanza virtù, lo sguardo dello spettatore è invece assordato da una traboccante e giocosa offerta di particolari scenografici, di invenzioni coreografiche, di cure per il colore e gli effetti speciali, tali da "straniarlo" rispetto al film che sta guardando. Suggerendogli cioè che le immagini cui sta gioiosamente assistendo altro non sono che una magnifica finzione, preannunciando così i continui ribaltamenti della "verità" narrativa che caratterizzano la seconda parte del film. Ridurre il film alla sua mera(vigliosa) natura oggettiva di una successione di affascinanti ombre elettr(on)iche si rivela per certi versi anche il suo stesso limite. Risulta infatti difficile per lo spettatore occidentale "credere" e quindi partecipare alle vicissitudini amorose dei tre protagonisti, sulle quali è incentrata la seconda parte della pellicola. La parte sentimentale del film è insomma quella più condizionata dalla tradizione e forse meno riuscita: il messaggio che l'esasperazione dei sentimenti non può portare che alla distruzione di chi li prova è innanzitutto retorico oltre che scontato e prevedibile. Questo non impedisce al regista di proseguire comunque il lavoro di sperimentazione e rinnovamento formale del wu xian pian fatto nella prima parte del film. Il silenzio, l'attesa, la dilatazione dello spazio, la modulazione del tono dei colori, sono elementi tipici del genere che Zhag Yimou sa fare propri, rivitalizzandoli, rendondo così interessante e godibile anche la seconda metà della pellicola. Senza raggiungere le vette conquistate dal giapponese Kitano Takeshi in un film per certi versi simile a questo, come Zatoichi. Forse perché la natura e le esigenze commerciali di questa produzione ha schiacciato le potenzialità artistiche di cui Zhang Yimou sappiamo essere capace. Forse la causa di cio' sono ancora una volta i compromessi, di natura non soltanto artistica, che il regista cinese ha dovuto accettare anche in passato, ma che stavolta non coinvolgono la qualità generale di un film che guarda oltre e contribuisce alla definizione di un cinema che certamente sarà molto presente nel futuro prossimo sui nostri schermi.
 
 
 
 
 
 
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