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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Il voto del redattore

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  • 2/5
  • valutazione
  • Una carnevalata troppo sopra la righe.
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Info

American Dreamz

di Paul Weitz

 
    Dati
  • Titolo originale: American Dreamz
  • Soggetto: Paul Weitz
  • Sceneggiatura: Paul Weitz
  • Genere: Commedia - Comico
  • Durata: 107 min.
     
  • Nazionalità: U.S.A.
  • Anno: 2006
  • Produzione: NBC Universal Television, Depth of Field
  • Distribuzione: UIP
  • Data di uscita: 09 06 2006
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Il circo, signori.

di Riccardo Lupoli

American dreamz è show campione d'ascolti , una sorta di caccia al talento per concorrenti desiderosi di apparire che va in onda una volta alla settimana. Oramai è diventato un vero e proprio tormentone, l'intero paese rimane puntualmente col fiato sospeso in attesa di sapere chi resta e chi verrà eliminato. Il creatore del programma è il conduttore Martin Tweed, personaggio eccentrico e spregevole alla perenne ricerca di nuovi talenti da proporre al pubblico. Dopo tanti anni però lo show sembra esausto, così Tweed decide di donargli nuova linfa arruolando un gruppo di bizzarri concorrenti in lizza per la vittoria finale. La prima componente dell'allegra compagnia è Sally, ragazza arrogante con stolto fidanzato milite al seguito, disposta a tutto pur di ottenere il successo; viene direttamente dall'Afghanistan invece, un simil-talebano di nome Omer, troppo imbranato per fare il terrorista, ma abbastanza  in palla per improvvisarsi cantore in stile Broadway;  e infine c'è Sholem, un ricco ebreo ortodosso autore di improbabili motivetti rap. Ma non finisce qui, per un cast d'eccezione ci vuole una giurato d'eccezione: così Tweed decide di assoldare il presidente degli Stati Uniti in persona, una sorta di fantoccio manipolato dal suo vice, da qualche tempo colto da una strana sindrome per cui non riesce a far altro che leggere. Lo show ha così inizio, gli allucinati concorrenti danno il proprio meglio e serata dopo serata riscuotono i favori del pubblico;  l'odiosa Sally approda alla serata finale grazie all'appoggio di Tweed e del suo agente, pronto a inscenare qualsivoglia  taroccamento pur di regalare la celebrità alla propria assistita. Ma al round decisivo ci arriva anche Omer,  spinto dagli operativi del suo commando terroristico sul territorio statunitense,  decisi  a sfruttare il povero immigrato come kamikaze per eliminare il presidente Stanton. Tutto è quindi pronto per lo spettacolo più atteso dell'anno, milioni di spettatori sono pronti a tifare per i loro beniamini, ma ovviamente nulla andrà come previsto.

Il dilagante fenomeno del reality show per aspiranti talenti non poteva non essere preso in prestito dal grande schermo e a farlo non potevano che essere gli Stati Uniti, inventori nonché principali produttori-consumatori del genere televisivo più discusso degli ultimi anni.  Lo show protagonista della pellicola è una sorta di "Corrida" all'americana,  basata sul celebre assunto di Andy Warhol  secondo il quale ognuno ha diritto al suo quarto d'ora di celebrità. La televisione dunque responsabile della regressione  e massificazione dei sogni di gran parte dei teen-ager e non, investiti dalla brama di apparire e di avere successo anche senza una reale preparazione; questo sarebbe il messaggio fra le righe di una pellicola da molti acclamata come un'opera di aspra critica del sistema televisivo statunitense e della presidenza in pectore, ma che in realtà assume più che altro i tratti di una parodia di basso livello, infarcita di caricature e di situazioni paradossali che raramente strappano una risata. Weitz infatti, abbandona momentaneamente la commedia agrodolce di About a boy e In Good Company, per ricreare una carovana cialtrona di macchiette in stile American Pie, che danno vita ad un chiassoso carnevale televisivo. Fra tutti prevale  comunque il  veterano Dennis Quaid, nei panni di uno stralunato presidente degli Stati Uniti succube del suo vice Willem Dafoe: a conti fatti i due regalano gli unici attimi divertenti del film. Il resto è decisamente troppo: talebani che sembrano i cattivi dei cartoni animati, una giovane Lecciso nata per vincere, un ebreo canterino in versione Fabri Fibra. Troppo per noi, per portarci a intravedere un barlume di critica nei confronti di qualcuno o qualcosa, troppo per la pellicola stessa, per non risultare piatta o scadere nel demenziale. Registriamo comunque una discreta soddisfazione nel vedere Hugh Grant finalmente odioso, abbandonati gli occhi da cerbiatto e l'aria da fidanzatino per bene.

 
 
 
 
 
 
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