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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

  • voto
  • 3/5
  • valutazione
  • Trier si approccia alla commedia e non convince appieno, ma varrà pure una visione.
  •  
 
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Il voto dei lettori

  • voto medio
  • 4.4/5
  • numero votanti
  • Questo film è stato votato da 8 lettori
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Info

Il grande capo

di Lars von Trier

 
    Dati
  • Titolo originale: Direktøren for det hele
  • Soggetto: Lars von Trier
  • Sceneggiatura: Lars von Trier
  • Genere: Commedia - Sociale
  • Durata: 99 min.
     
  • Nazionalità: Danimarca, Svezia
  • Anno: 2007
  • Produzione: Lars von Trier per Zentropa Productions, Memfis Film, Slot Machine, Zik Zak Kvikmyndir
  • Distribuzione: Lucky Red
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Film per tutti

di Stefano Tirelli

Carrellata verso l'alto, nel riflesso delle pareti specchiate del palazzo, l'immagine di Lars Von Trier ci rassicura: state per assistere a una semplice commedia, senza complicati intellettualismi, godetevi lo spettacolo.

Così il caro danese introduce Il Grande Capo, rivolgendosi probabilmente agli spettatori informati che vanno a vedere un suo film aspettandosi qualcosa di diverso, sperimentazioni estreme, provocazioni (motivate e non), o rivisitazioni di genere in chiave post-dogma.

Jens Albinus (Idioti) è "il grande capo", ovvero un attore pagato dal socio presidente di un'azienda informatica per impersonare colui che ha incolpato per anni di tutti i soprusi che ha imposto ai propri colleghi/amici senza avere il coraggio di assumersene la responsabilità. La trama è pressoché conclusa qui. Lo spunto viene sviluppato arricchendosi di situazioni paradossali, personaggi al limite del demenziale e qualche punto di svolta inserito ad hoc dal regista, con tanto di dichiarazione d'intenti che lo precede. Una commedia semplice, o almeno questo è ciò che Lars von Trier vuole fare credere allo spettatore disattento, al quale sembrano rivolti tutti questi ammiccamenti che, a giudicare dalla media degli spettatori che ho visto in sala, pare che siano arrivati a segno. Speriamo che gli introiti vadano a finanziare una nuova innovativa autoproduzione al pari di Dogville. (Siamo ancora in attesa di Wasington, terzo capitolo della saga antiamericana che sarà invece finanziato dallo stesso produttore di questo film.)

Tuttavia, se da un lato il regista danese mette le mani avanti e rassicura lo spettatore ingenuo, dall'altro sembra fare di tutto per fornire spunti di riflessione ai suoi fan più esigenti. La struttura del film rispecchia fedelmente la commedia classica greca e latina e contiene riferimenti letterari apprezzabili solo da uno spettatore colto e attento. Sul piano formale, poi, non mancano le bizzarrie al quale Lars von Trier ci ha abituati sin dall'inizio della sua carriera. Questa è la volta della cosiddetta "automavision", un sistema che affida le riprese non più a operatori umani ma a un computer che decide in modo pseudocasuale i parametri della ripresa come panoramiche, zoom, primi piani, eccetera, dando al regista (umano) la possibilità di ripeterle solo un certo numero di volte. Il risultato è un tempo di stacco molto breve con inquadrature bilanciate in modo quantomeno bizzarro, ma tutto sommato è uno stile che non si discosta di molto dalla telecamera a spalla e dai movimenti bruschi a cui ci ha abituati lo stile dogmatico danese. Infine, l'introduzione dei Lookeys, una specie di gioco enigmistico basato sullo spirito di osservazione dello spettatore, invitato a cercare elementi dissonanti con il contesto, da utilizzare poi per trovare una chiave di decifrazione di un codice presente su un sito internet. Al primo spettatore (solo quello danese, però) che trova la chiave è assegnato un premio in denaro e la possibilità di comparire come comparsa nel prossimo film di Trier.

Le aspettative sono un grosso pericolo al cinema, ma è inevitabile che queste siano messe sul piatto della bilancia per valutare l'ultima opera di un regista che ci ha abituato a esperienze cinematografiche quasi sempre spiazzanti. In questo caso, il risultato è piuttosto disorientante. Da un lato lo spettatore esigente riceve qualche "zuccherino" che non lo fa sentire troppo "deluso", dall'altro lo spettatore poco esigente ha una commedia che, tutto sommato, potrebbe anche essere apprezzata per quello che è. Non intendo nemmeno ipotizzare che l'introduzione di Trier sia sincera, credo invece che l'intento del regista fosse proprio quello di accontentare entrambi i tipi di spettatori, mi metto quindi nei panni dei due tipi di spettatore e credo che entrambi potrebbero uscire "moderatamente soddisfatti". Il problema di fondo è che dopo che Lars von Trier è riuscito a far proprio il musical con il bellissimo Dancer in the Dark, è un po' una delusione vedere che il suo approccio alla commedia, genere almeno altrettanto stereotipato, non è stato ugualmente dirompente. Oltretutto, lo spettatore poco esigente, per trovare una commedia divertente e niente di più, può facilmente trovare altre offerte, senza per forza dover ricorrere alla falsa non-ermeticità del danese.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 3 commenti

 
 
utente
alice
  • indirizzo IP 87.1.192.2
  • data e ora Venerdì 26 Gennaio 2007 [13:34]
  • commento Secondo me ha ragioni johnny palomba quando dice che in questo film "cestà uno che ha fatto finta defà erreggista"
 
 
 
 
 
utente
Tetsuo
  • indirizzo IP 84.220.119.17
  • data e ora Sabato 27 Gennaio 2007 [2:09]
  • commento La cosa più interessante è che nel pressbook è descritta la matrice che costituisce l'automavision. Se non altro, quella l'ha fatta lui. Certo, come idea per risparmiare (/guadagnare) non è male.
 
 
 
 
 
utente
Luigi
  • indirizzo IP 151.52.75.33
  • data e ora Sabato 27 Gennaio 2007 [2:36]
  • commento Vogliamo cavarcela senza citare quel genio di Gambini? :)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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