Una luce taglia in due lo schermo. I rumori industriali tanto cari al regista, invadono la sala. Una puntina scivola, gracchiante e tagliente, su un vinile. La scena si apre su uno stereotipato vialetto americano dove
una strepitosa Grace Zabriskie (gia' osannata nei panni della signora Palmer in quel capolavoro assoluto che e' Twin Peaks e nel prequel di questo, Fuoco Cammina con Me) si aggira con occhi sgranati e andatura incerta, fino a giungere ad un elegante cancello. Qui si presenta come nuova vicina a Nikki Grace (una Laura Dern in totale stato di grazia), attrice in attesa di tornare alla ribalta, e non solo le anticipa che otterra' la parte da lei desiderata, quella di Susan Blue, in un film diretto dal regista Kingsley Stewart (Jeremy Irons), ma le fa vedere di fatto la scena, mostrandole cio' che nessuno dovrebbe mai vedere: il proprio doppio. Ma mi sono già spinto troppo in là e ognuna delle parole appena scritte Mi sembra irrispettosa per coloro che andranno a vedere INLAND EMPIRE, perche' svelano gia' troppo e perche' e' inutile cercare una trama in questo film. Ci sono due modi per ammirare l'arte piu' visionaria (parlo di Hieronymus Bosch, Magritte, Dali' o Picasso, ad esempio): munirsi di c
omoda guida che sciorini tutti i significati nascosti e riconducibili a periodo, tecnica e simbologia personale; lasciarsi invadere totalmente da cio' che si sta guardando, limitandosi a disporsi alla possessione senza voler comprendere necessariamente ogni cosa e, proprio per questo, comprendendo cio' che a Noi e' destinato. Mi ero ripromesso quest'ultimo approccio, come faccio sempre nei confronti di cio' che mi interessa vedere e non guardare soltanto.
Mi spiace per i commenti che ho sentito da un pubblico di presunti addetti ai lavori prima della proiezione ("Dune e Fuoco Cammina con Me sono davvero brutti, degli scivoloni per un regista cosi' dotato", "No, non ho visto Una Storia Vera perche' l'ambientazione mi e' sembrata cosi' provinciale") e per la gente che a meta' se n'e' andata, quando conosco persone che avrebbero venduto la dentiera della nonna per esserci. E Mi sento solo di aggiungere che Lynch qui tira le fila di moltissimi semi sparsi in questi anni: scopriaMo che la misteriosa Axxon N. e' una sorta di soap radiofonica tra i solchi di un consunto vinile e ritroviaMo scene di Rabbits l'allucinogena sit-com che ha per protagonisti conigli umanoidi.
La novita' principale e' la decisione di girare totalmente in digitale, inoltre qui vengono toccati temi che in Lynch non riscontro spesso, come la critica allo show business (gia' presente in Mullholland Drive), ai talk show e ad una certa immagine patinata della Hollywood fisica: dalle cele
bri colline agli ancora piu' celebri viali "stellati", quasi una tragica e sublime parodia del sogno di ogni Pretty Woman. Molti, invece, sono i temi feticcio, dalla scelta della protagonista (attrice per eccellenza di Lynch), alle tende rosse, alle lunghissime soggettive che dipanano porte su porte e pareti su pareti, l'opera d'arte all'interno dell'opera d'arte, agli occhiali da sole come maschera di seduzione esplicita, allo schioccare delle dita ancora ed ancora, fino al pericolo totale a cui l'amore, di qualsiasi natura, espone sempre e comunque. Un film perturbante e disturbante di cui, alla maniera della mistica, non si puo' dire, ma sperimentare esclusivamente sui propri sensi.