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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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  • Woody, torna in te.
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Info

Hollywood Ending

di Woody Allen

 
    Dati
  • Titolo originale: Hollywood Ending
  • Soggetto: Woody Allen
  • Sceneggiatura: Woody Allen
  • Genere: Commedia - Comico
  • Durata: 114 min.
     
  • Nazionalità: U.S.A.
  • Anno: 2002
  • Produzione: Dreamworks, Gravier Productions, Perdido Productions
  • Distribuzione: Medusa
  • Data di uscita: 00 00 0000
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

L'indimenticabile sta altrove.

di Sara Troilo

Parafrasando il meraviglioso corto intitolato I francesi visti da David Lynch, naturalmente di Lynch, potremmo ribattezzare questo nuovo lavoro di Allen I francesi non visti da Woody Allen. Proprio l'impossibilità di, anzi la volontà di non vedere è l'argomento principe nel film metacinematografico del regista newyorchese qui alle prese con le major hollywoodiane e le malattie psicosomatiche, gli amori mai dimenticati e la propria città; Val Waxman è il regista più evitato dai produttori per le manie che lo contraddistinguono e l'intransigenza più assoluta verso ciò che non è arte ma prodotto, e questo suo atteggiamento lo porta a girare spot pubblicitari tra gli alci canadesi nel bel mezzo delle bufere di neve. Ellie (Tea Leoni), la sua ex moglie che ora sta con un produttore, vive in California, ha un erborista, decide di dargli una possibilità di riscatto affidandogli la regia di un film su New York e Val (Woody Allen), per tutta risposta, proprio sul set di questo film diventa improvvisamente cieco passando da una situazione disperata a una tragica senza tralasciare nessuna gradazione di grottesco, sempre accompagnato e sorvegliato dal suo agente Hal (Mark Rydell), lo stesso che gli porterà la notizia che, nonostante la pessima accoglienza in patria, il film in Francia è stato molto apprezzato.

"Se Hollywood ti mette le catene tu chiudi gli occhi" sembra dirci Val. E poi continua a tenerli chiusi di fronte alla produzione attuale, volta le spalle ai meccanismi che incentivano l'industria del divertimento, non degnare di uno sguardo chi ha strappato l'aura artistica al cinema riducendolo a un passatempo per famigliole, mostrati indifferente alle sovvenzioni che si alzano di pari passo con gli incassi e se ciò non basta, attraversa l'oceano e recati lì ove l'auteur continua a contare più del produttore. L'atto d'accusa di Allen contro la deriva di gran parte della cinematografia americana usa come cavallo di Troia quell'attacco al cinema di papà da cui è partita la rivoluzione della nouvelle vague, stravolgendola, però in favore di una lettura che resta quasi esclusivamente psicanalitica; Val ha un figlio punk e ribelle a cui da anni non rivolge la parola e la sceneggiatura del film a lui proposta narra di un uomo che si vede costretto a fare uccidere il proprio padre. Edipo vince sui Cahiers du Cinema, insomma, e si vede (un retroscena su tutti riguardo a questa battaglia: la Dreamworks ha prodotto il film). La commedia imperfetta, abbozzata nel suo intento polemico, procede alternando momenti di grande sceneggiatura a reiterazioni di facili gag sulla cecità tenuta nascosta; lo splendido dialogo iniziale in cui Val cerca di tenere a bada la propria gelosia in nome di un rapporto civile con la ex moglie e, soprattutto, in nome del contratto che la donna gli sta offrendo ha campi e controcampi capaci di sottolineare i cambiamenti di personalità dello stesso Allen in un crescendo che tocca vette di narcisismo filmato tendenti all'assoluto, ma resta un punto isolato all'interno del film che poi si perde dietro la volontà di non essere troppo caustico nonostante qui anche la consueta e intensa dichiarazione d'amore per New York si riveli essere uno strumento di polemica verso la mecca del cinema. Del resto Allen interpreta un padre che si sente minacciato dal proprio figlio; da una parte ha Hollywood la bieca, dall'altra tutta una cinematografia che non parla la sua lingua (a cui nel film non si fa mai riferimento) e intendo Cronenberg, piuttosto che Lynch o i fratelli Coen. Ciò che non vuole vedere è la fine del proprio modo di fare cinema, ma l'unica minaccia è lui stesso. Un buon regista a Hollywood riesce a girare buoni film anche da cieco, il fatto che poi questi non vengano apprezzati è un problema che si pone solo negli Stati Uniti dove altri registi, ben più ciechi del nostro Val, furoreggiano. Probabilmente una satira di tono più forte avrebbe sollevato anche i problemi che trascendono la produzione; il risultato è che tutto resta solo accennato e il film perde di chiarezza. Dall'Europa un dubbio ci assale: trasporre lo strumento della polemica nei mezzi di creazione di un'opera piuttosto che renderla didatticamente paradigmatica di un malessere avvertito sarebbe stato più raffinato, no? Bunuel, dalla sua, nei propri film faceva sempre fare una pessima fine ai ciechi, forse questa volta Allen ha sbagliato a somatizzare per quanto questo coincida con un segnale di ripresa; noi gli auguriamo di rimettersi presto, è da quando ha finito Pallottole su Broadway che non sta bene.

 
 
 
 
 
 
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