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libera critica cinematografica

 
 
 
 
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Trama

Il divo Giulio: l'imperscrutabile, colui che detiene il potere e affronta i processi per mafia senza battere ciglio. Un pezzo di storia di Andreotti.

 
 
 
 
 
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Voti

Il voto del redattore

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  • Più aggiornato di molti libri di storia contemporanea.
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Il voto dei lettori

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Info

Il divo

di Paolo Sorrentino

 
    Dati
  • Titolo originale: Il divo
  • Soggetto: Paolo Sorrentino
  • Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
  • Genere: Drammatico - Politico
  • Durata: 110 min.
     
  • Nazionalità: Italia
  • Anno: 2008
  • Produzione: Indigo Film, Lucky Red, Parco Film, Babe Film
  • Distribuzione: Lucky Red
  • Data di uscita: 28 05 2008
 
 
 
 
 
 
 
 
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Recensione

Ciao, sono Dio.

di Sara Troilo

L'apertura del nuovo film di Sorrentino, Il divo che ci sta rendendo orgogliosi di essere italiani in tutto il mondo (e non per i 50 anni di DC), è assolutamente indimenticabile. La galleria di omicidi accompagnata da una musica sparatissima e ossimorica rispetto alle immagini, con tanto di didascalie in rosso che presentano i personaggi i cui nomi restano inchiodati nella storia italiana recente, le cui morti restano inchiodate a questa storia, è sublime. Un serie di morti ammazzati ci introduce alla visione facendo gli onori di casa, fino alla traumatica esplosione dell'auto di Falcone causata da cinque quintali di tritolo piazzati in un tunnel scavato sotto la sede stradale e fatti detonare da Giovanni Brusca, su incarico di Totò Riina. Date, nomi e sangue, tutti in rosso. Ma quella musica evidentemente cancella ogni intento documentaristico dal film di Sorrentino che invece realizza un ritratto di Giulio Andreotti cominciando proprio dalla cornice: quei morti.


Andreotti è stato (e il passato non è il tempo verbale esatto) la politica italiana di mezzo secolo, il periodo in cui lo spettatore incontra il divo Giulio, però, è quello dei primi anni '90: l'inizio di Tangentopoli, la caduta del settimo governo Andreotti, l'elezione alla Presidenza della Repubblica di Oscar Luigi Scalfaro dopo innumerevoli votazioni e dopo la succitata strage di Capaci, il processo per mafia contro Andreotti. L'ambiguo uomo politico ha una duplice aderenza al soprannome "divo" (affibbiatagli da Mino Pecorelli: anch'egli presente nella cornice del ritratto, il giornalista fu ucciso nel quartiere Prati il 20 marzo del 1979 da colpi di pistola Gevelot, marca assai particolare e rara, trovata nell'arsenale della Banda della Magliana) in quanto divo e mondano e in quanto divinità della politica italiana, come sostiene lo stesso Sorrentino in un'intervista e com'è intuibile vedendo questo film. Entrare nella casa di Andreotti è quasi uno shock, pare impossibile che un uomo del genere abbia una vita, una casa, accenda e spenga gli interruttori, addirittura! Tanta è la sua aura che i gesti quotidiani sono spiazzanti e perciò importanti. Non è un caso che Andreotti si palesi intento a scrivere, seduto alla scrivania con una serie di aghi da agopuntura conficcati nella fronte, nel tentativo di far cessare l'emicrania. Con il divo ci vengono presentati gli uomini della sua corrente che accorrono alla casa di questo essere soprannaturale portando ognuno il proprio ghigno e il proprio non-stile in un altro momento glamour de Il divo, un po' à la Tarantino, tanto che non mi sarei stupita se tutti quegli uomini lì radunati avessero cominciato a parlare di Madonna piuttosto che dei farmaci da non eliminare dal prontuario. A queste Iene da parlamento e da Vaticano, così simili a quelle dell'attuale governo, per altro, il regista regala una caratterizzazione sopra le righe davvero convincente.


L'enfasi ironica scorre copiosa in tutto il film, riuscendo nell'intento arduo di colorare la Democrazia Cristiana, da Cirino Pomicino (compito semplice) a Salvo Lima ("Salvo Lima come John Lennon: ucciso da un fan impazzito" titolava all'epoca il glorioso Cuore facendo impallidire la grande ipocrisia su cui si fondava quella Repubblica). Giulio Andreotti: le sue passeggiate notturne con scorta armata, i suoi brindisi con l'Aspirina, il suo modo di tenere le mani e il suo segreto amore per Mary Gassman, il suo essere imperturbabile in modo esemplare anche quando non viene eletto Presidente della Repubblica, la sua andatura alla Nosferatu, la tagliente ironia che lo ha reso celebre, le emicranie devastanti, il sonno inesistente. Tutto ciò che ha contribuito a creare il mito Andreotti arriva al culmine nel momento del monologo che precede la prima udienza del processo per mafia e si disintegra per concedere spazio al giudizio sull'uomo politico formulato dal regista: Giulio in quel momento sente di aver agito per un Bene alto a cui tutto il male fatto deve sottostare, tale e quale al Dio in cui crede, sa quale sia la retta via, ma sa anche dove sia il caso di derogare anche se derogare significa uccidere. L'unico rimorso è nei confronti della moglie che pare non sapere chi sia suo marito e poi c'è qualche senso di colpa nei confronti di Aldo Moro che non è stato morbido nelle sue lettere dalla prigionia: "il mio sangue ricadrà su di voi" (tipico gergo democristiano).


Pare che Andreotti si sia molto arrabbiato per il film, soprattutto nel momento in cui il suo alter ego cinematografico incontra e bacia Totò Riina davanti agli occhi dell'autista del boss mafioso, Balduccio Di Maggio poi informatore della Giustizia. E, ovviamente, per il monologo. Altro merito del film e del suo coraggioso regista. Per quanto ridondante, è necessario ribadire il talento di Toni Servillo, stavolta più che mai alle prese con un personaggio ostico e ancora una volta più che all'altezza del compito. Il suo è un divo calibrato al millimetro e con un sorrisetto di perfida ironia di cui mai abusa, la postura vampiresca è incredibilmente simile al vero come anche il suo incedere. Anche il lavoro sulla sceneggiatura è mirabile, senza fronzoli e tagliente, raggiunge il culmine nel famoso monologo dove ogni parola entra dentro come una spada affilata e non si limita a pungere. La colonna sonora molto spesso spiazza, a volte emoziona, altre volte è in armonia con le immagini e ne sottolinea la grandezza, molto spesso fa da contrasto a queste creando un effetto straniante degno del miglior cinema. La tipologia di film lo colloca vicino al cinema impegnato degli anni '70, ma rispetto a questi riesce nell'intento di giocare con lo spettatore che viene sfidato sul piano della memoria storica, ma anche portato al sorriso inaspettato. Ci troviamo di fronte senza dubbio a un film moderno, non a un tentativo di ripercorrere un modo di fare cinema di qualche anno fa. E la grandezza artistica, al di là di quella tecnica, sta nell'incidere nella realtà attuale e nel rileggere l'immediato passato con lucidità e coraggio, prendendo posizione nettamente.


L'impatto di un film del genere all'estero credo e spero che sia forte, nota di merito ancora ai francesi che sono più coraggiosi di noi nella scelta dei film da festival. Il senso reale probabilmente è precluso agli stranieri, a meno che non siano profondi conoscitori della politica italiana, ca va sans dire. Il fatto di presentare un personaggio come Andreotti, e una parte di rappresentanza politica come quella della DC, con questo stile a tratti surreale e il premio della Giuria al festival di Cannes faranno avvicinare una parte di pubblico insperata alla pellicola. In questi anni di lobotomia televisiva è bello pensare che il cinema svolga un ruolo di primo piano nell'impegno politico-sociale e nell'educazione dei cittadini che devono rendersi conto di essere tali prima che consumatori e pubblico.

 
 
 
 
 
 
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Commenti
 

I lettori hanno scritto 1 commento

 
 
Dudoski
Dudoski
  • indirizzo IP 213.140.11.139
  • data e ora Domenica 08 Giugno 2008 [17:03]
  • commento Miglior film italiano degli ultimi anni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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