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Festival

Speciale del 14 05 2006

 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Uno sguardo sul cinema indipendente

di Roberta Folatti

Secondo Andrea Galante, direttore del Milano International Film Festival, ciò che emerge con forza da questa manifestazione è che bisogna rischiare anche nel movie business e che la qualità paga.
Dal 28 marzo al 10 aprile si è svolta a Milano la sesta edizione della rassegna di corti e lungometraggi che qualcuno accosta al Sundance americano. Per la massiccia presenza di film statunitensi il paragone potrebbe reggere, per la qualità e la diversificazione delle proposte c'è ancora strada da fare.
Ma non intendo essere critica, ho visto dei bei film e molti lavori di giovani, che hanno le carte in regola per diventare grandi con creatività e ingegno.
Come ci ha spiegato Galante, l'intento del MIFF è quello di proporre cose nuove e di qualità, che abbiano anche una veste accattivante.

- I criteri che ci guidano nella selezione - spiega il direttore del Festival milanese - sono basati su un bilanciamento tra la comprensione della critica intellettuale e il pubblico di massa. Cerchiamo film con un taglio artistico, pellicole d'autore, ma anche di intrattenimento. Assimilabili da tutti ma che non imbocchino il pubblico senza farlo riflettere -.

Film come Lost, Last time forever, il vincitore Lucky number slevin, premiato anche dal pubblico, rispondono bene a queste caratteristiche.
Lost dello sceneggiatore Darren Lemke, al debutto nella regia di un lungometraggio, costruisce con abilità l'accumulo di tensione che si fa sempre più palpabile man mano che la trama si chiarisce. Così il viaggio del giovane bancario, dalle ambizioni pericolose, si trasforma in una frenetica fuga, resa ancora più drammatica dalla totale perdita dell'orientamento in un deserto ossessivamente simile a se stesso.
In Last time forever nessuno è come appare, i ribaltamenti di fronte si susseguono. Tutti ingannano qualcuno e alla fine il superburattinaio sarà il personaggio più bolso e insignificante. Mediocre ma diabolico. Adam Bonfanti è passato dalla regia di corti a quella più impegnativa del suo primo lungometraggio, che se risulta un po' macchinoso, ha il pregio di un certo appeal.
Di adolescenti e giovanissimi parlano l'unico film italiano, Sopra e sotto il ponte di Alberto Bassetti e Little Athens dell'americano Tom Zuber.
Entrambi descrivono il vuoto che circonda le vite dei protagonisti, nessuno dei quali riesce a trovare un modo per essere felice. In Little Athens tutti si impasticcano, bevono, hanno problemi di soldi e di solitudine, sono alla ricerca dell'amore senza riuscire a trovarlo. Il tragico finale farà apparire tutto ancora più vano.
Sopra e sotto il ponte, tratto da un testo teatrale dello stesso regista, mette a nudo l'incapacità di comunicare tra generazioni, descrivendo padri logorroici e distratti, madri deluse dalla vita e figli smarriti, prigionieri di interiorità inespresse o di superficiali modelli imposti dalla tivù.
Il MIFF offre l'opportunità di mettere a confronto due approcci diversi a un tema simile, anche se nel film di Bassetti gli adolescenti si rispecchiano e si contrappongono ai loro genitori, mentre in quello di Zuber non compaiono figure adulte significative.
Andrea Galante spiega che il Festival da lui diretto riesce ad essere, sempre di più, veicolo di distribuzione in Italia dei film indipendenti che ha in cartellone. La presenza di filmaker e produttori nei giorni del MIFF conferma la rilevanza che, edizione dopo edizione, la manifestazione milanese sta conquistando a livello internazionale.
Forse è la concezione di film festival a non essere ancora entrata ben in testa ai milanesi, abituati ad andare al cinema normalmente e non a proiezioni che si susseguono, alternando i titoli lungo l'arco di due settimane.
Comunque la prevalenza di spettatori era decisamente giovane (e i giovani imparano in fretta) e ha gradito molto le proposte cinematografiche, divertendosi apertamente, ad esempio, durante Red doors, commedia agrodolce di Georgia Lee, che può vantare nel suo curriculum una collaborazione con Martin Scorsese. Un ambiente familiare cinese calato perfettamente nella società americana, se non fosse per quello strano padre con tendenze suicide miste ad aspirazioni meditative.
I miei preferiti li ho lasciati per ultimo e sono due pellicole americane e un corto italiano.
Un grande Peter Falk duetta con l'ottimo Paul Reiser nella commedia The thing about my folks, che gioca sui toni della nostalgia e del rimpianto, senza negarsi gag davvero divertenti. La coppia padre-figlio che inizia a conoscersi sul serio durante un viaggio improvvisato, alternando momenti giocosi a drammatici scambi di accuse, funziona benissimo e c'è solo il cruccio di un finale troppo consolatorio, quasi melenso. Il regista del film Raymon De Felitta, ha ricevuto riconoscimenti sia come regista di corti che di lungometraggi.
Un'atmosfera ben più livida contraddistingue Forgiven, le cui prime scene mostrano i preparativi di un'esecuzione. Il condannato a morte verrà graziato quando ha già gli aghi nel braccio, ma le conseguenze di quest'ingiustizia porteranno a una drammatica escalation di violenza con altre vittime innocenti.  Un film complesso, teso, aperto a molteplici interpretazioni quello del regista e attore Paul Fitzgerald, che non descrive eroi ma uomini fallibili.
E per finire un corto che ho trovato bello e coraggioso e che ha incontrato anche il consenso del pubblico. Foku di Claudio Bozzatello riprende l'attività di quattro ragazzi rumeni che girano le fabbriche dismesse d'Europa - in questo caso l'ex acciaieria Falk - recuperando il rame dalle strutture in disuso. Una realtà invisibile, impensabile, sorprendente, in totale controtendenza con la sfavillante superficie di una parte del nostro mondo.  

 
 
 
 
 
 
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