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Intervista

Speciale del 12 01 2007

 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

Ignazio Oliva - Le varie facce di un attore

di Roberta Folatti

Ignazio Oliva è un attore dal curriculum decisamente raffinato, non ha lavorato moltissimo ma tra i registi che l'hanno diretto compaiono nomi altisonanti come quelli di Bernardo Bertolucci e Clare Peploe e autori dallo stile personale come Giacomo Campiotti, Aurelio Grimaldi e Vittorio Moroni. Vanta anche diverse esperienze teatrali, una carriera parallela alla regia di documentari e, recentissima, l'avventura con la società di produzione Verdeoro, condivisa con Daniele Mazzocca, già produttore di Saimir.

Sei molto oculato nelle tue scelte artistiche, cosa ha più importanza?

Principalmente la storia che si va a raccontare, trovo sia bello proporre al pubblico temi su cui riflettere e non del mero intrattenimento. E' importante anche il rapporto che si crea col regista. Che si tratti di Bertolucci o di un autore sconosciuto, a me interessa che abbiano fatto cose belle in passato.

Solitamente prediligi uno stile recitativo molto naturale, sobrio, quasi sommesso: è una tua caratteristica o dipende dalle indicazioni di chi ti dirige?

Cerco di non recitare, interiorizzando molto le caratteristiche del personaggio e poi usandole con la massima naturalezza possibile. Ci sono ruoli in cui la fisicità è determinante, prendi Onde, in cui il mio personaggio era cieco e non poteva comunicare con lo sguardo.
Cerco sempre di non calcare la mano, di non fare marchette, di essere estremamente naturale.

Il tuo ultimo film si intitola Anita, di cosa si tratta?

E' un film di Aurelio Grimaldi, girato in Brasile la primavera scorsa. E' la storia di Anita Garibaldi e del suo amore per l'eroe dei due mondi. Io interpreto il ruolo di Luigi Rossetti, il braccio destro di Garibaldi, l'amico fidato. Nel film si è voluto accentuarne l'aspetto vitale, legato all'azione, nella realtà Rossetti fu un intellettuale pazzesco, rappresentava un po' la mente di tutta quella vicenda storica. Anita è un film "povero", realizzato con pochi soldi, che attualmente è ancora in trattative per la distribuzione.

Ultimamente hai lavorato con registi al loro primo lungometraggio come Fei e Moroni, che esperienze sono state?

Belle, decisamente, mi piace lavorare con esordienti perchè c'è molta voglia di fare bene, poco spreco di denaro, grande unità in tutta la troupe. Ci si crede. Avverti concretamente l'entusiasmo, la voglia di svegliarsi presto per girare. E' una bella esperienza e ci si aiuta molto a vicenda.

Hai potuto condividere le difficoltà che incontra un regista italiano all'esordio... e non solo al suo esordio?

Il nostro è un mestiere precarissimo, si lavora e non si lavora, non c'è mai la certezza. E' difficile, e in Italia fanno lavorare sempre i soliti nomi. Io sono diventato anche socio di una casa di produzione, la Verdeoro, con cui stiamo seguendo dei progetti, stiamo cercando di dare una mano a questo cinema italiano. Tra gli altri, curiamo la produzione esecutiva del prossimo film di Marco Bechis, forse diventeremo anche coproduttori. Invece come attore a metà gennaio dovrei iniziare le riprese di un film tivù su san Francesco.

Sei laureato in Scienze politiche con una tesi su Greenpeace, sei riuscito a esplicitare la tua passione ambientalista in qualche ruolo cinematografico o nella tua attività di documentarista?

Parlerei di passione civile su tanti temi, sicuramente anche su quelli ambientali, ma anche su temi politici, sulla cooperazione. L'ultima lezione di Fabio Rosi era un film sulla vicenda di Federico Caffè, l'economista scomparso. Per me ha rappresentato uno dei casi fortunati della vita, in cui ho potuto coniugare impegno civico e cinema. Un altro caso di questo tipo fu lo spettacolo teatrale su Sacco e Vanzetti. Mi piace l'idea di smuovere, informare, rendere il pubblico partecipe di una riflessione. Nel film tv La buona battaglia - imperniato sulla figura di Don Pappagallo e sulla vicenda delle Fosse Ardeatine - io avevo il ruolo di un partigiano, uno molto schivo. Beh, per me è stato un onore. Per quanto riguarda la mia attività di documentarista, ne ho girati alcuni legati a Organizzazioni non governative e allo sport. In particolare Coi pantaloni rossi e la maglietta blu raccontava dei giovani giocatori tunisini portati da Scoglio al Genoa. Un altro mio documentario era dedicato all'avventura del Siena che è salito per la prima volta in serie A: ho cercato di raccontare lo sport attraverso la passione di una città.

Com'è stato lavorare con Bertolucci e poi con la Peploe?

Quando lavorai con Bertolucci in Io ballo da sola ero all'inizio, avevo 24 anni, ero ancora nella fase in cui studiavo all'Università e contemporaneamente seguivo un corso di teatro. Feci un provino che andò bene e mi trovai catapultato tra mostri sacri. Ho cercato di affrontare quell'esperienza con umiltà, assorbendo come una spugna tutto ciò che avveniva intorno a me, non a caso sono rimasto sul set per tutta la durata delle riprese anche se il mio ruolo era esaurito. Certo avevo paura... e non è che non abbia paura di sbagliare anche oggi.
Il trionfo dell'amore di Clare Peploe, con produttore Bertolucci - sempre presente sul set - era un film strano, che richiedeva un tipo di recitazione in bilico tra la  teatralità e la cinematografia, una cosa abbastanza difficile, e in più girato in inglese. Anche lì altri mostri sacri.  A parte il diverso approccio metodologico al lavoro dell'attore, l'esperienza con Bertolucci e la Peploe aveva un grosso scarto a livello di produzione rispetto a "piccoli" film come Onde o Tu devi essere il lupo. In un caso sei molto rilassato, quasi viziato, nell'altro devi fare in fretta, girare più scene al giorno, e quindi devi essere doppiamente bravo. Bertolucci mi ha fatto interpretare me stesso, quello che ero con un'accentuazione della mia timidezza, i grandi registi di solito scelgono gli attori giovani per come sono, per fargli interpretare se stessi. Ma altrettanto stimolante è stata l'esperienza di Amorfù di Emanuela Piovano, in cui avevo la parte di un ragazzo con problemi psichici, quindi un ruolo diverso da come sono, difficile, straniante. E lo stesso per il cieco di Onde.

Come vedi la situazione del nostro cinema?

Secondo me ci sono miglioramenti dal punto di vista artistico, è il settore produttivo e distributivo che non ha grande interesse a far emergere nuovi talenti. Si mira al botteghino, si tiene basso il livello per accontentare tutti, non si prendono rischi. Comunque vedo un piccolo spiraglio, si è sviluppato un filone parallelo a quello prettamente commerciale, prendi i lavori di Antonio Capuano e in particolare l'ultimo, molto bello, La guerra di Mario.

Che ne pensi dell'esperienza "Myself", la società fondata dallo stesso regista, Vittorio Moroni, per distribuire il suo film? Può essere replicabile?

"Myself" è stata un'ottima cosa ma, anche se alla fine ha funzionato, non è consigliabile emularla. Si trattava di un film in cui la distribuzione avrebbe dovuto essere garantita, ma poi han cambiato le leggi in corso d'opera.
Che la passata legge avesse delle grosse pecche è fuor di dubbio, ma aggiustrala nel modo fatto dal governo Berlusconi ha significato tagliare del tutto le gambe al cinema italiano.

E il teatro?

Col teatro guadagni pochissimo, a meno di non essere nel circuito importante. Io attualmente non posso permettermi di farlo perchè ho messo su famiglia e da sette mesi c'è mio figlio Orlando. Invece vorrei aiutare il cinema e i giovani con la Verdeoro: un attore si deve muovere su più fronti e questa è un'opportunità molto interessante.

 
 
 
 
 
 
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