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Speciale del 01 11 2007

 
 
 
 
 
 
 
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Speciale

10, 100, 1000 Cinemambiente!

di Carlo Griseri

Si è chiuso al cinema Massimo di Torino il Cinemambiente numero 10, un'edizione quanto mai ricca di proposte e di pubblico, un evento sempre più cruciale nel calendario cinematografico torinese. L'Environment Film Festival per sei giorni ha proposto 30 film in competizione, oltre 40 titoli fuori concorso, numerose sezioni parallele e collaborazioni con altre realtà e altri festival (rinnovata la storica collaborazione con Amnesty International, su tutte).

L'anteprima dell'evento è stata la proiezione esclusiva di L'11^ ora, documentario del Tree Media Group con protagonista Leonardo Di Caprio. La pellicola (che al box office Usa ha già superato il milione di dollari di incasso, e in Italia uscirà in sala pare nel prossimo febbraio) è riuscita nel suo obiettivo principale: richiamare un pubblico folto, di appassionati e non, di ecologisti e di curiosi. Ogni posto occupato, qualche persona in piedi, i più sfortunati - non pochi - addirittura fuori a bocca asciutta! Una delle caratteristiche più evidenti della programmazione 2007 è stata la presenza di molti film con star statunitensi, da Di Caprio a Daryl Hannah, da Alanis Morissette a Keanu Reeves, Mel Gibson e Tom Hanks, ma le produzioni proposte sono giunte da tutto il mondo. Un bilancio in crescita, affluenza notevole (si parla di 16.000 spettatori in totale), un'eco sempre maggiore nella città e sui mezzi di comunicazione. In attesa che il 2008 registri nuovi record, va in cantiere una delle edizioni di maggior successo di sempre.


I premi


Il miglior documentario internazionale è stato The Planet di Michael Stenberg, Linus Torell e Johan Sderberg: la giuria ha premiato l'"intelligente e completo affresco del nostro pianeta", in un film ironico che spiega con semplicità ed efficacia i problemi ambientali della Terra. Nella categoria, menzione speciale per due film, Delta Oil's dirty business di Yorgos Avgeropoulos e China blue di Micha X. Peled. Tra gli italiani a trionfare è stato Le vie dei Farmaci di Michele Mellara e Alessandro Rossi. "Il film - dice la giuria - punta il dito con coraggio contro lo strapotere del profitto" nel mondo farmaceutico. Seconda piazza per Mercancia di Andrea Zambelli. Tra i cortometraggi d'animazione l'ha spuntata il ceco The Fridge di Lucie Stamfestova, un'animazione in stop-motion "apparentemente povera, in cui si trovano tutti gli stilemi artistici del surrealismo praghese".  Numerosi anche i riconoscimenti speciali e collaterali. Il Premio Speciale Golder Associated è stato assegnato alla pellicola statunitense Who killed the Electric Car di Chris Paine, mentre la Consulta degli Studenti ha scelto tra i migliori corti realizzati con videofonino per il Concorso "Ecotribe": primo posto per Haiku di Giuseppe Tedeschi (visionabile direttamente sul sito del festival, a questo indirizzo


Il "mio" festival


Come sempre, in questa vita, bisogna fare delle scelte. Alternandomi tra le due sale "occupate" dal festival, ho cercato di seguire più documentari possibile - nel contempo sperando che lo schermo accanto non stesse proiettando un film migliore, considerando anche quanto potrà essere difficile reperire in altro modo la maggior parte dei titoli in cartellone. Resoconto finale (in numeri): ero in sala per 5 documentari internazionali, per 6 italiani e per 4 corti animati (in ogni categoria erano in concorso 10 opere). Non ho visto i due documentari vincitori (ma tutte e tre le menzioni speciali!), mentre ho avuto la fortuna di esserci per la proiezione di The fridge. Senza contare quelli fuori gara… Questa è, in ogni caso, la cronistoria delle mie visioni.


Giovedì 11 ottobre


Il debutto. Una serata "aggiuntiva", pensata per far parlare l'opinione pubblica dell'evento (missione riuscita), attirare più gente possibile (missione riuscita, e due!) e proporre un documentario di grande rilievo, L'11^ ora (e qui non ci siamo!). Buio in sala, prima dei saluti vengono proiettati due cortometraggi (sempre Tree Media Group, sempre con voce di Di Caprio a narrare) sul pianeta Terra e sull'acqua: visti di seguito perdono molto di forza, annoiando anche un po'. Sembrano essere solo degli spot, utili forse come spunti per ulteriori approfondimenti (magari in ambito scolastico, visto l'appeal dell'attore tra i ragazzi).

Il direttore del Festival, Gaetano Capizzi, all'accendersi delle luci saluta la sala, presenta la settimana e lascia spazio a un altro corto in programmazione, French fries to go di Howard J. Donner. Protagonisti assoluti della pellicola sono Charris Ford, eco-rapper statunitense, e il suo furgone con motore modificato per andare a biodiesel, che lui stesso ricava dall'olio utilizzato per friggere dei fast food e dei ristoranti: viene pagato per smaltire un rifiuto, ne ricava carburante e il tubo di scappamento del suo veicolo… profuma di patatine fritte! L'eco-rapper è rimasto a Torino per tutta la settimana, con moglie e figli, e ha visto tantissimi documentari, con grande interesse e curiosità, ponendo più volte anche domande agli altri registi. Un cortometraggio apprezzatissimo - arricchito dalla testimonianza di Daryl Hannah, che ha avuto l'applauso più lungo e sentito dell'evento. Ford (noto negli Usa come The Granola Ayatollah of Canola) si è profuso in complimenti per l'Italia e gli italiani, la loro cura per l'ambiente e l'attenzione alle risorse. Almeno paragonati con gli americani, dice lui: il che, dico io, non fa ben sperare per il futuro! E per finire… il piatto "debole". Il documentario di Di Caprio è stato davvero una delusione: noioso, poco efficace, patinato, verboso. Presentato come una sorta di Una scomoda verità 2.0 (a proposito, il direttore ha chiesto prima dell'inizio un applauso benaugurante per Al Gore, possibile Nobel per la Pace… un applauso davvero portafortuna!), un documentario che - seppur non privo di difetti, rimane anni luce migliore di questo. Una inutile e anche abbastanza irritante sequenza di "facce che parlano", luminari che dicono la loro sul futuro del pianeta ma senza riuscire a distinguersi tra loro, con Di Caprio che ogni tanto interviene a filosofeggiare. Unica nota positiva le bellissime immagini scelte per inframmezzare le interviste. In sala parecchi colpi di sonno e un applauso stentato alla fine.


Venerdì 12 ottobre


Giornata densa di spunti. Il primo lavoro in programma è How to cook your life, la storia del monaco zen californiano Edward Brown attraverso le sue lezioni di cucina. L'arte di fare il pane e trovare la felicità… Il risultato è lento, noioso. A seguire un documentario italiano in concorso, Mbeumbeus di Simona Risi: un breve (18 minuti) ma interessante viaggio nella gigantesca discarica di Dakar insieme ai ragazzi e alle duemila persone che lì vivono e lavorano. Un lavoro efficace.  La perla della giornata è sicuramente l'accoppiamento di due documentari sulla Cina. Due lavori decisamente diversi (uno italiano e uno statunitense): Il bravo gatto mangia i topi di Francesco Conversano e Nene Grignaffini è un viaggio nella sconfinata campagna del colosso asiatico, attraverso la dura realtà economica e ambientale dei suoi abitanti, il cui unico sogno pare essere "la fuga nella città". China blue di Micha X. Peled sembra fatto apposta per spezzare quel sogno, raccontando la nuova realtà imprenditoriale cinese con onestà e freddezza: totale mancanza di diritti umani, paghe minime, condizioni di vita e di lavoro inaudite. Il tutto, come testimoniato dal regista in sala, in quella che viene considerata una delle aziende migliori del Paese per livello di "umanità". Due documentari tra i migliori del programma, molto interessanti specie se visti di seguito nonostante entrambe le produzioni abbiano subito pesanti ingerenze dalle autorità locali (Peled ha raccontato di come dovessero ogni sera smontare e rimontare la telecamera per riuscire a farla passare ai controlli, e tutti gli altri escamotage usati per riuscire a realizzare il loro lavoro).


Sabato 13 ottobre


L'offerta del sabato di festival è stata abbondante, ma per vari motivi riesco a raccontare solo due lavori, Il mare sul muro di Alberto Signetto e Ilario Blanchietti e 13 variazioni su un tema barocco - Ballata ai petrolieri del Val di Noto, a firma Alessandro Gagliardo, Christian Consoli e Antonio Longo. Il primo è un resoconto della realizzazione a Caluso, nel torinese, di un mural dell'artista italo-argentina Munù Actis Goretta, opera che ha coinvolto per mesi l'intero paese. Una piccola produzione tesa a ricordare i sacrifici di tutti gli emigranti del passato, del presente e del futuro (la stessa Munù è figlia di emigrati calusesi, e anche Signetto, uno dei registi, è nato in Argentina): un lavoro riuscito, un'opera significativa. 13 variazioni… (il titolo più lungo di tutto il festival!) è un importante esempio di "produzione dal basso", nato dall'investimento di 600 piccoli produttori - la maggior parte dei quali trovati tra i fan del musicista Roy Paci, testimonial del progetto e in sala a presentare il documentario.  Un lavoro originale, legato all'utilizzo di licenze creative commons, nato dall'esigenza di denunciare la possibilità che il Val di Noto - una delle più belle zone dell'intera Sicilia, la cui economia è basata essenzialmente sul turismo - sia stato scelto tra altri per effettuare ricerche di idrocarburi.


Domenica 14 ottobre


La giornata al cinema inizia con lo svedese Gitmo - Le nuove regole della guerra di Tarik Sakeh ed Erik Gandini (bergamasco emigrato in Svezia a 18 anni). "Gitmo" è il nome che l'esercito americano ha dato a Guantanamo: una visita ufficiale nella prigione, guidati dagli ufficiali in capo. La durezza e le violenze della carcerazione sono evidenti, nonostante le "limitazioni di movimento" imposte ai registi, e sconvolgono. Giornata festiva, perciò continua l'enorme successo del festival, le sale spesso piene. Per questo motivo non riesco a entrare in Sala 2, dove era in programma il film messicano En el hoyo, sulla costruzione della sopraelevata Periferico a Città del Messico. Non meno interessante, però, l'appuntamento nella sala accanto, dove lo stesso Gandini è tra i protagonisti di una tavola rotonda sul terrorismo e su Guantanamo. Con lui Ruhal Ahmed, ex detenuto nella prigione - dalla cui storia Michael Winterbottom ha tratto l'ottimo The road to Guantanamo - Line Halvorsen, regista di USA vs Al-Ariani (in programma lunedì), Riyhad Aladhadh, medico iraqeno protagonista di My Country My Country (anch'esso in programma, già nominato all'Oscar), e il coordinatore Paolo Pobbiati, presidente della Sezione italiana di Amnesty International. Un momento di grande interesse, in cui la testimonianza diretta di Ruhal è stata sicuramente il passaggio di più alto spessore e di maggiore crudezza. Il suo racconto ha emozionato e scosso la platea. Molto interessante anche verificare le similitudini tra le conseguenze dell'impegno di tutti contro la repressione: Gandini e gli altri hanno infatti raccontato le ripercussioni subite, durante e dopo le loro riprese.

La sera si "torna" in Italia, con due lavori diversissimi tra loro. Mercancia è un corto sulla produzione della pasta di coca nella regione colombiana del Magdalena Medio. La metodicità della lavorazione, in mezzo alla foreste, tutti i passaggi che le foglie fanno in mezzo a decine di sostanze chimiche, per arrivare al prodotto finale, è stato rivelatore e scioccante. "La cosa che più mi ha colpito - ha detto il regista in sala - è la differenza che intercorre tra il ruolo della cocaina in occidente e la dignità del mondo rurale in cui avviene la produzione della sostanza. Ho incontrato contadini che da quindici anni coltivano la foglia di coca, e non hanno mai utilizzato il prodotto finale. Considerano, anzi, l'abuso di cocaina un vizio del neoliberismo". A seguire Oma e Chimica di Luca Pastore. Un documentario di notevole interesse, che ha richiamato molti dal territorio limitrofo: narra la storia dello smantellamento di due fabbriche inquinanti della cintura torinese, a Rivalta. Il regista - noto al grande pubblico per il suo lavoro con i Subsonica - vuol forse far vedere troppo quanto è bravo (troppi effetti, troppe immagini di tubi - da tutte le angolazioni, avanti e indietro, deformati…, la sua passione per l'archeologia industriale risulta a volte fine a se stessa). Molto riuscita l'idea di utilizzare le strutture delle aziende come schermo: alcuni momenti del film sono infatti stati proiettati in diversi punti delle fabbriche e il risultato è stato ripreso per poi essere inserito nel lavoro finito. Un ultimo appunto (a un lavoro comunque molto apprezzato): è poco chiara la posizione della proprietà di queste ditte nei confronti dell'inquinamento e del movimento popolare che ha portato alla loro chiusura (Pastore in sala ha poi detto che i "capi" sono stati interpellati e non hanno voluto parlare, ma dal film non traspare). Iniziativa collaterale, la sera successiva, la proiezione del film negli spazi dell'ex Ipca di Cirié, un'altra fabbrica dismessa - e ora bonificata - del circondario torinese.


Lunedì 15 ottobre


Giornata ricca, si inizia con Il palazzo di Katharina Copony: 45 minuti di viaggio dentro e intorno a Corviale, un complesso periferico nella campagna romana. Pochi dialoghi, belle immagini ma nel complesso un risultato poco apprezzato.

L'atmosfera si riscalda e la sala "si sveglia" con la proposta successiva, Street boulder - Arrampicatori metropolitani di Rovero Impiglia: l'esperienza di alcuni ragazzi, in particolare di Milano e Torino, che - appassionati di scalate e costretti a vivere nel grigio cittadino - hanno deciso di iniziare ad arrampicarsi su portoni, muri, ponti, monumenti per dare nuova vita agli spazi urbani. Il pubblico ha molto apprezzato, lo stile fresco e ironico che ben si sposava con la storia raccontata, ottima la scelta musicale. Il primo corto animato della giornata risulterà poi essere il vincitore della categoria: The fridge. Pupazzi animati in stop motion, un frigorifero rimasto aperto come metafora del riscaldamento globale, il cibo che prende vita prima di marcire senza speranza. Divertente. La proposta seguente è di tutt'altro genere. Delta Oil's dirty business è un viaggio alla foce del Niger, dove le compagnie petrolifere lucrano da anni senza concedere nulla alla popolazione indigena, costretta a vivere (e a morire) con un inquinamento sempre crescente. Senza dubbio interessante, è un importante documento, forse un po' troppo a senso unico (Shell=cattivo), e a volte confuso nell'esposizione dei fatti. Il brasiliano Tyger merita un riconoscimento per la sua originalità: tre tipi vestiti di nero muovono una gigantesca tigre di pezza, che - camminando per le vie di una metropoli - trasforma tutti gli abitanti in animali. Stranissimo mix di diverse animazioni, ha divertito la sala (ed è ispirato a una poesia di William Blake). Visione consigliata (è possibile recandosi sul sito dell'autore. La mia giornata al festival si conclude con A Crude awakening di Basil Gelpke e Ray McCormack. Presentato in sala da McCormack e dal climatologo Luca Mercalli, il documentario risponde ad alcune semplici ma basilari quesiti: cosa faremmo senza petrolio? Che futuro ha il pianeta? Girato con grande professionalità, si segnala in particolare con la prima parte, in cui sono proposti documenti sull'archeologia delle conquiste petrolifere. Splendide immagini di repertorio della scoperta del petrolio in Azerbaijan o in Venezuela, contrapposte alla triste realtà di quei posti oggi: dove un tempo regnavano speranza, illusioni e ricchezze possibili, oggi rimane solo inquinamento, desolazione, abbandono. Il petrolio non ha futuro, la Terra può averlo.


Martedì 16 ottobre


La giornata finale, con meno affluenza del previsto, almeno agli spettacoli pomeridiani. Prima proposta, ultimo tra i documentari tricolore in gara, Dr. Mick e la foresta di Andrea Balossi Restelli e Bruno Chiaravallotti. "Abbiamo trascorso due mesi nel villaggio di Chita - hanno detto i registi introducendo il lavoro in sala -. Non eravamo gli unici a guardare un mondo diverso dal nostro. Anche noi eravamo "altri" per gli abitanti del villaggio e in quanto tali, oggetto di domande e commenti. Alcune di queste voci sono entrate fuori campo nelle nostre riprese, altre si sono dirette verso la videocamera senza che noi sapessimo cosa ci stessero dicendo". Proprio questa caratteristica, l'aver dato voce anche alle sensazioni di coloro che vengono "documentati", è la cosa migliore del film. A seguire, Il mio paese di Daniele Vicari, già vincitore del David di Donatello come miglior documentario. Un lavoro molto ben fatto e dalla genesi decisamente accattivante. Prende spunto dall'opera del 1959 di Joris Ivens, L'Italia non è un Paese povero: commissionato dall'allora presidente dell'Eni Enrico Mattei, il documentario è una splendida testimonianza di un tempo che non c'è più. Dal Veneto alla Sicilia, Ivens raccontava il boom economico, ma anche la miseria più nera di alcune zone d'Italia. Vicari, percorrendo a ritroso il viaggio per finire a Porto Marghera, ha realizzato un curioso esperimento, molto riuscito, che riprende alcune scene del film originale per mettere a confronto quanto è cambiata l'Italia in questi anni. Un'ottima conclusione di festival, almeno della mia esperienza al festival.


Finale


La serata della premiazione si è conclusa con la proiezione della versione restaurata del film del 1967 Le vie del petrolio di Bernardo Bertolucci, recentemente vista alla Mostra di Venezia. Anche per quest'anno Cinemambiente ha chiuso i battenti, lasciando buoni ricordi, belle emozioni, agghiaccianti previsioni per il futuro del pianeta ma anche qualche speranza. Appuntamento al 2008, of course, per l'edizione numero 11.

 
 
 
 
 
 
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