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Hero

Ring del 13 10 2004

 
 
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Contro

Recensione contro

Apologia del tiranno

di Luigi Faragalli

Cosa accadeva nel mondo due secoli e mezzo prima di Cristo? Un sacco di cose, ovviamente.
Noi occidentali siamo portati a pensare che la nostra storia sia la storia del mondo, inutile dire che così non è. La nostra storia è una piccola parte della storia del mondo e, in alcuni periodi storici, nemmeno quella più interessante.
Nel 222 a.C. ad esempio gli eserciti di Roma combattevano poco epiche battaglie addirittura contro i Liguri e contro i Galli Insubri, sbaragliandoli con una certa facilità, in oriente però capitava ben altro. Nel 246 era salito al trono di Qin un re bambino, il tredicenne Ying Zheng, trovandosi subito immerso in uno dei periodi più tumultuosi che il continente asiatico abbia mai conosciuto, quello dei sette regni.
In poco più di venti anni questo bambino diventerà, oltre che un adulto, anche il primo imperatore della Cina unificata, conquistando il regno di Han, annettendo Wei, occupando Chu, e battendo Zhao e Yan. Nel 221 cade Qi, l'ultimo regno e la Cina diventa un unico grande impero.

Nulla di strano, solo un grande condottiero che conquista terre su terre con un poderoso esercito massacrando popoli interi, cose che abbiamo visto anche qui in occidente, più di una volta.
Che un comandante sì valente accumuli tra un bagno di sangue e l'altro un certo numero di nemici fieri è cosa naturale oltre che comoda per un'agiografia posteriore, da sempre ci insegnano che la misura del guerriero è la forza del nemico.
Hero è questo: la storia di una chiacchierata tra guerrieri .
I più attenti agli sviluppi sociali e politici mondiali sapranno che la Cina vive un particolarissimo momento, la sua crescita è altissima, ritmi sconosciuti nel resto del pianeta, incredibili, quasi una favola per economisti. Con sviluppo e capitali in Cina si sono aperti ovviamente oceani di possibilità, fra le quali anche quella per un regista di talento come Zhang Yimou di girare un film come Hero, ovvero un film di scazzottate, spade, ed effetti speciali, bello da vedere ma poverissimo in contenuti, con dentro un demagogico messaggio di volontà di potenza riferito al pubblico senza ombra di critica. Un perfetto film d'azione hollywoodiano insomma, pur confezionato di certo con più gusto.

Nulla da dire su fotografia, costruzione dei combattimenti, scene di massa, costumi e regia, tutto ciò che riguarda l'aspetto legato puramente alle immagini è davvero ben fatto in questo film, la pioggia rossa di foglie è di certo uno spettacolo così come i nugoli di frecce dell'esercito di Qin, tuttavia gli aspetti davvero notevoli della pellicola sono tutti qui e sono in gran parte da ascrivere all'abilità di Ching Siu Tung, action choreographer di vastissima esperienza.
Per molti altri versi purtroppo il film non convince ed appare irrimediabilmente debitore a troppe opere precedenti. La storia non risulta del tutto nuova essendo già stata la base del soggetto de L'Imperatore e l'assassino, film di Chen Kaige del 1999. Il meccanismo narrativo è classico quanto abusato, i diversi punti di vista, le diverse ipotesi, i diversi modi di raccontare la medesima vicenda, facile il richiamo del tutto irrispettoso al Rashômon di Kurosawa. Come se non bastasse nemmeno gli spettacolari duelli all'arma bianca hanno più il sapore del nuovo e dello stupefacente dopo quanto abbiamo visto ne La tigre e il dragone di Ang Lee.
Certo, un capolavoro resta tale anche al confronto di opere simili, qui però non siamo assolutamente di fronte ad  un capolavoro ma piuttosto ad una pellicola a tesi dal sapore vagamente propagandistico.

Forse è invitabile che i film prodotti in paesi che sono o ambiscono al ruolo di potenza planetaria portino dentro supinamente i tratti più popolari e di massa della propria cultura d'origine, nonostante ciò la totale ammirazione verso un personaggio storico dai metodi che quantomeno potremmo definire discutibili appare davvero fastidiosa. Capisco si possa essere grati verso chi ha dato uno standard di pesi e misure, un'unica lingua ed un'unica moneta ad una massa di genti sterminata e fino ad allora sempre in guerra fratricida, giustificare però gli stermini in nome di questo alto traguardo è per me aberrante, pur con tutto il rispetto che si deve ai cinesi ed alle loro convinzioni.  Nulla nel film, nemmeno una foglia rossa, va contro questa tesi: quest'uomo ha fatto la Cina, l'ha fatto uccidendo, ma non importa, oggi c'è la Cina ed è grande.
Con una sceneggiatura migliore, con qualche chiaroscuro in più, forse il risultato sarebbe stato diverso, tuttavia così com'è il film sembra uno splendido e scintillante pacco dono adornato da luccicanti fiocchi e lustrini ma contenente un sacco di paglietta da imballaggi e poco più.

 
 
 
 
 
 
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A favore

Recensione a favore

Solenne austera Cina

di Stefano Tirelli

Mettete un budget milionario (per una produzione orientale) e le premesse per un film epico in mano alla Repubblica Popolare Cinese ed ecco che cosa otterrete. Hero è una produzione totalmente cinese, nonostante figurino molti attori di Hong Kong, e questo è, tutto sommato, una condanna e una benedizione. La condanna è quella a essere un film essenzialmente cinese, austero e solenne, la benedizione è quella di integrare in sé le tradizioni di una cultura millenaria e spettacolare come quella cinese. La storia è quella dell'imperatore Qin, che riuscì a unificare per la prima volta gran parte della Cina sotto un unico impero.

Nel film, un guerriero senza nome cerca, con un piano articolato, di vendicare la gente del suo popolo morta sotto le frecce dei temibili arcieri di Qin. La storia si svolge attraverso molteplici flashback, ciascuno da una prospettiva diversa. L'attenzione verso la fotografia è massima: le scene di combattimento di massa e i duelli sono coreografati in maniera perfetta, nello stile più classico, con corpi che volano leggeri grazie ai cavi invisibili che li sorreggono. L'esercito degli arcieri schierato in mezzo al deserto è una visione semplicemente mozzafiato, così come l'imponente sciame di frecce che si abbatte sui letterati di Zhao, studiosi di calligrafia cinese. Altro pilastro culturale che sorregge quest'opera carismatica: la scrittura cinese, con le sue ambiguità, la sua difficoltà, ma anche il suo fascino senza eguali.

Il segreto dell'arte del perfetto spadaccino è racchiuso nel ventesimo carattere che può essere usato per scrivere la parola "spada", la cultura, la disciplina, elevano la scrittura da mero supporto comunicativo a maestra di vita, guida spirituale delle proprie azioni: così gli studenti periscono sotto le frecce pur di non abbandonare la loro cultura. L'espediente di narrare la stessa storia dai diversi punti di vista, incuriosisce lo spettatore, qualora egli non fosse già stato rapito dalle spettacolari immagini. L'interpretazione degli attori è perfetta, misurata e anch'essa austera al punto giusto, in armonia totale con il contesto cinematografico. Zhang Yimou sceglie anche altri interpreti per il suo film: il vento, i tessuti, l'acqua, tutto sembra muoversi sotto la sua direzione, con armonia, con violenza; le gocce del duello con Cielo, i drappi verdi nella stanza dell'imperatore, i fiocchi rossi dell'esercito di Qin. Il colore è un elemento valorizzato da Yimou come pochi registi sanno fare. Oltre alla varietà cromatica delle scene, ogni flashback ha una tonalità propria, similmente alla scelta di Soderbergh per Traffic, con risultati enormemente inferiori per qualità e intensità.


Alla fine del film, la sensazione è quella di aver assistito a uno spettacolo favoloso. A tenere insieme tutto questo, c'è la solenne austerità della cultura cinese. In effetti la prima reazione dinanzi al finale è quella di gridare allo scandalo per il messaggio apparentemente mortificante per l'individuo, che nulla conta di fronte al regime. L'influenza del partito unico su questo film è sicuramente palpabile, dopotutto in Cina vi è un'opera costante di controllo e censura su tutti i canali informativi. Questa è, purtroppo, la situazione della Cina di oggi, tuttavia è più corretto giudicare la morale del film in una prospettiva più ampia, più attenta alla storia cinese: l'imperatore Qin fu in effetti l'unico che riuscì a unificare popoli talmente diversi da non riuscire nemmeno a comprendersi tra di loro e ad appianare le loro differenze comunicative con un unico sistema di scrittura. Del resto Zhang Yimou non ha fatto altro che scegliere un tema storico esemplare nella storia cinese e rappresentarlo in pellicola ed è anche vero che il film, in ultima analisi, non parla di diritti civili dell'individuo, ma di mettere da parte la propria sete di vendetta quando in gioco c'è l'unificazione di una nazione, quindi, la vita di moltissime altre persone. Al di là del messaggio, che può comunque essere poco condivisibile, non si può fare a meno di constatare come si sia di fronte a un magnifico esempio di arte cinematografica.

 
 
 
 
 
 
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